IL BRACCIO E LA MENTE


Il giusto atteggiamento di un tennista adolescente e l’intromissione della figura genitoriale

Buongiorno!
Sono padre di un giocatore di Tennis, di 15 anni e classificato 4,1, che dimostra interesse per il suo sport, ma mi sorprende nel suo atteggiamento: non mostra, a differenza di altri suoi coetanei, quella rabbia e quell’emozione che mi aspetterei e che io personalmente provo quando assisto ai suoi incontri. Non sono preoccupato, ma non capisco quanto possa effettivamente interessargli giocare. A volte, dopo una sconfitta, mi dice serenamente di essere soddisfatto… Ha paura di dimostrare i suoi sentimenti o non gli interessa vincere? Cosa devo pensare? Gianfranco

Mi fa piacere notare che l’atteggiamento di Gianfranco non sia da padre preoccupato ed assillante nei confronti del figlio, ma interessato a conoscerlo. E’ chiaro che esprimo un mio giudizio, partendo da una descrizione soggettiva fornita da Gianfranco (che ritengo affidabile) ma che andrebbe sempre approfondita per avere il quadro, per lo meno dal punto di vista emotivo, reale di suo figlio. Ci tengo a puntualizzare che considero uno dei pericoli maggiori, nel processo di crescita dei figli, l’eccessiva intromissione da parte dei genitori nelle dinamiche psicologiche e di vita quotidiana dei propri figli.
Spesso assistiamo all’assillante desiderio di realizzare qualcosa, da parte dei genitori, senza chiedersi se quel qualcosa è, per il ragazzo, interessante e sufficientemente stimolante per accettare rinuncie e sacrifici, con il rischio di incorrere, in caso di malaugurato insuccesso, in situazioni, a volte preoccupanti, di insoddisfazione e crisi di vario tipo. Gli entusiasmi che il figlio di Gianfranco rivela o NON mostra possono essere dovuti a tanti motivi: disinteresse (ma sembra di poterlo escludere, da quanto descritto), timidezza, riservatezza, predisposizione caratteriale. Ciò che importa è capire se quello che il 15enne sta facendo è di suo gradimento; se è funzionale per la sua crescita come persona; se mostra piacere a tal punto da sottoporsi volentieri agli impegni che questo comporta; se ha la capacità di analizzare il suo operato e riscontrare piacere nel verificare quanto i successi siano frutto del proprio impegno. A 15 anni si può cambiare, nel comportamento, nel predisporsi alle piccole cose della vita! Perchè l’adolescenza è l’età in cui si inizia a rendersi conto di potere e volere fare qualcosa di diverso (in termini di atteggiamento) e anche perchè iniziamo ad affrontare con senso critico gli eventi! e da queste esperienze e dall’educazione che riceviamo siamo stimolati a sviluppare i nostri modelli di comportamento. Pensiamo, per restare in campo tennistico, a quanto siano cambiati negli anni campioni attuali: pensiamo ad esempio a Federer che da ragazzino spaccava racchette in continuazione, come reazione alle sconfitte, o all’australiano Lleyton Hewitt che, da under, aspettava i suoi avversari nel parcheggio del circolo per minacciarli prima del match… Sono professionisti che nel tempo hanno modificato il loro comportamento, mettendolo a disposizione della loro crescita.
Mi permetto, per fornire un’ulteriore prospettiva di valutazione del caso proposto da Gianfranco, di tornare sull’argomento relativo alla predisposizione di un individuo “al sé” o “allo scopo”, per ribadire alcuni concetti elementari che però spesso vengono sottostimati o male interpretati. In particolare, non è la prima volta che sento genitori o istruttori preoccupati del fatto che il proprio atleta non sia soddisfatto di quanto sta facendo, perché non dimostra questo entusiasmo in maniera palese, non dimostra la propria voglia di vincere.. E’ quasi scontato assistere a manifestazioni di entusiasmo e esplosioni di gioia e di soddisfazione da parte dell’atleta che vince un punto: è il caso classico di giocatori che già in altre occasioni abbiamo identificato come “predisposti al se”! In qualunque modo sia stato ottenuto, il punto vinto per questi atleti è segno di soddisfazione perché è la prova del raggiungimento dell’obiettivo principale, per questo tipo di individuo: dimostrare la propria supremazia. Il fatto di vivere, giocare in virtù di questo obiettivo lo porta a caricarsi di una tale energia, una tale voglia di emergere e di vincere il punto, che lo porta poi a esplodere di soddisfazione in maniera evidente, nel caso di successo. Diversa è la situazione invece per il “predisposto al compito”: la sua preoccupazione è eseguire il compito, eseguire il gesto tecnico! la sua soddisfazione è riposta nel verificare la realizzazione del gesto, del compito! E questa soddisfazione può emergere anche in caso di sconfitta, se la tecnica espressa lo ha soddisfatto. Per il “predisposto allo scopo” riveste un significato fondamentale la concentrazione, l’attenzione rivolta a se stessi e l’energia e lo stress che questo individuo accumula non hanno la stessa intensità e la stessa potenza che, nel caso precedente, porta ad un’esplosione di gioia, ma solo (e non in senso riduttivo) al percepire sensazoni positive, nel momento della realizzazione del gesto, che si manifesterà probabilmente con un’espressione di serenità, un sorriso, che per lui hanno un significato notevole, che per uno spettatore sarà difficile da percepire. Si tratta sicuramente di un’espressione meno visibile dall’esterno, a meno che non si conosca il soggetto e si riesca a percepire il dettaglio dell’espressione del volto o della gestualità. Per il soggetto in questione, questa serenità, questa tranquillità sono prerogative irrinunciabili, perchè funzionali all’impegno per realizzare un gesto tecnico che richiede morbidezza e fluidità, che difficilmente si sposano con la tensione nervosa e quindi muscolare riscontrabili in chi è orientato al sè. Questo atteggiamento sereno, confondibile con uno stato di disinteresse, può essere male interpretato da parte del genitore o dell’allenatore che può leggerlo come legato all’assenza di motivazioni o di cattiveria.
In chiave di sviluppo, una volta individuata la predisposizione del giovane atleta al compito, è auspicabile che venga “educato” perché riconosca e possa interpretare la realizzazione del gesto come funzionale alla conquista del punto (per poter affrontare più serenamente quello successivo), e all’ottenimento della vittoria, fonte di gratificazione personale e utile per ritagliarsi una nuova occasione per ripresentarsi in campo, in un nuovo incontro, a realizzare nuovamente gesti e colpi che portino soddisfazione. L’educazione a questa nuova interpretazione della realizzazione del compito e del successo è auspicabile e consigliabile che si realizzi in forma non violenta o aggressiva (come purtroppo vedo fare da parte di alcuni accompagnatori), condividendo questo sentimento e favorendo con pazienza l’apprezzamento del significato empotivo e pratico di quanto descritto. Potrà sembrare banale ma molto spesso ai miei allievi faccio notare che la vittoria tramite la realizzazione del gesto tecnico (o anche rinunciando in alcuni casi al bel gesto, se la situazione lo richiede) porta alla disputa di un ulteriore incontro e quindi ad un’occasione in più per poter continuare a godere delle proprie capacità tecniche.
Voglio comunque far notare quanto sia importante, anche per un giovane giocatore, riconoscere in ogni caso le proprie capacità, i propri limiti o i propri errori, soprattutto quando si fa un’analisi di se stessi, evitando di trincerarsi dietro una ipotetica predisposizione al sè o al compito per giustificare determinati errori o insuccessi. C’è il rischio, infatti, che chi non ha la capacità o il coraggio di affrontare la concorrenza si limiti a riconoscere la propria predisposizione al compito e quindi si limiti ad accontentarsi a raggiungere lo scopo di aver realizzato il compito! così come chi non è capace di realizzare il compito sfoghi la propria rabbia sugli altri ed adotti sistemi poco leciti per vincere, giustificandosi con la predisposizione al se e alla supremazia di sé a tutti i costi. Il tempo è spietato e verrebbero smascherati ambedue i soggetti.

Buon lavoro e Buon Anno a tutti!

Giuseppe Giordano

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