IL BRACCIO E LA MENTE


So fare poco… ma so farlo bene! I segreti di un approccio più leggero al tennis…

Mio figlio di 14 anni gioca molto bene a tennis ma non riesce a ottenere i risultati che meriterebbe. Spesso perde partite quasi vinte… o con avversari che tecnicamente valgono meno di lui. Il suo è un problema di mancanza di autostima perché sia in campo che fuori si lamenta di non essere all'altezza (ma non è così) e quando inizia a sbagliare puntualmente abbassa la testa e non riesce a reagire. Che cosa è giusto fare per aiutarlo… e che cosa è giusto che lui faccia per aiutarsi a vincere ma soprattutto a rendere per ciò che vale e divertirsi di piu? (Ricky72)

Ai miei allievi insegno a convincersi e prendere coscienza di "saper fare poco, ma di saperlo fare bene". È un modo per acquisire fiducia, autostima! Ma soprattutto è un sistema per sapere su cosa poter contare per iniziare un qualunque intervento. Archimede diceva "Datemi un punto d'appoggio e solleverò il mondo"! La mia semplicistica interpretazione della frase, al di là delle leve e dei principi di Fisica a cui faceva riferimento Archimede, è che, se ho un punto da cui partire, se ho pochi strumenti, ma li conosco approfonditamente e so valutarne le potenzialità, posso permettermi di fare grandi cose. Differentemente, chi ha tante virtù, tanti attrezzi, ma non li conosce a fondo e non sa in che termini adoperarli, con molta probabilità, farà confusione e, se riuscirà ad ottenere un risultato, lo raggiungerà con un dispendio di energie e di tempi eccessivi.
È importante avere piena consapevolezza dei propri mezzi. Saranno quelli su cui fondare il proprio gioco. Saranno quelli che, in caso di necessità, di difficoltà, ci consentiranno di fermarci, analizzare la situazione e definire la strategia per recuperare lucidità e forza mentale, indispensabili per superare ostacoli che ad una prima analisi possono sembrarci insormontabili. Il caso del nostro giovane tennista, al di là di eventuali sopravvalutazioni di cui potrebbe sentirsi responsabile e da cui potrebbe sentirsi oppresso, è classico dei ragazzi riflessivi, con un alto senso di responsabilità, a volte timidi, che approcciano gli incontri quasi intimoriti. Per alleggerire il peso di questa responsabilità, molto spesso, diventa utile traslare l'obiettivo del gioco, dal risultato concreto del colpo (palla dentro o palla fuori ad esempio) alla sensazione che il colpo suscita nel tennista (palla sentita o non sentita). Tutto questo indipendentemente dal risultato del colpo. Sono tanti e semplici gli esercizi che il Tecnico può allestire per ottenere questo risultato.
Una volta "educato" l'allievo ad apprezzare l' aspetto legato alla sensazione, si potrà passare a verificare quanto il "sentire" il colpo  corrisponda alla riuscita del colpo stesso e di conseguenza alla possibilità di affermare quanto quel colpo sia diventato un "attrezzo", un "talento" su cui fare affidamento, in base, certamente, alle capacità dell'allievo di ricostruire il colpo e la consapevole sensazione piacevole nell'impatto. In questa maniera, l'allievo sviluppa un percorso che gli consentirà di apprezzare il tennis sotto un profilo di soddisfazione e di piacere, anziché di responsabilità e obbligo di realizzare colpi "non sbagliati", creando i presupposti per sviluppare un approccio meno ansioso nei confronti dell'incontro.
L'allievo, inoltre, inizia a studiarsi, a conoscersi, a prendere consapevolezza dei propri mezzi, dei propri limiti e delle proprie potenzialità: questo gli consentirà, in momenti di difficoltà, di riconoscere situazioni negative e di scegliere la strategia adeguata alle sue possibilità. Anni fa una mia allieva aveva iniziato a lavorare con me, reduce da un tipo di gioco basato essenzialmente sul ributtare nel campo avversario ogni palla che arrivava. Con grande dispendio di energie fisiche e mentali, vinceva, ma …. "che fatica"! Dopo qualche mese di lavoro, modificato il suo approccio al gioco, nei termini sopra descritti, aveva sviluppato un gioco che le consentiva di essere "aggressiva da fondocampo". Vinceva con molta più facilità. I suoi incontri duravano meno. Durante una chiacchierata mi rivelò che, prima di iniziare il lavoro con me, il suo approccio di "odio" nei confronti della sua avversaria era motivato dal fatto che, durante l'incontro, continuava a veder tornare, nel proprio campo, palle da inseguire e rimandare di là. Ora, invece, la sua rabbia nei confronti dell'avversaria era motivata dal fatto che, se la palla non tornava più di qua, le veniva preclusa la possibilità di provare ancora quella piacevole sensazione legata all'impatto. Il suo modo di vedere il tennis era cambiato: era legato al "piacere" di giocare!
Il tennis per tanti ragazzi, soprattutto per volere dei genitori, è sacrificio; non tanto per il lavoro svolto in allenamento, quanto per l'assillo di vincere, di accontentare qualcuno che pretende da loro. Facciamo in modo che i risultati arrivino, impegniamoci al massimo e con spirito di sacrificio,  ma con un sentimento più benevolo, più piacevole. Non voglio essere banale, ripetendo che "il tennis è un gioco", ma certamente, anche per chi vuole in tutti i modi raggiungere determinati obiettivi, un percorso più dolce, ma pur sempre definito e rigoroso, consente di lavorare, migliorare, ma logorarsi meno…

Giuseppe Giordano

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