IL BRACCIO E LA MENTE


La “fragile fragilità” di tanti giovani tennisti

Mi è arrivata una segnalazione da parte di un Maestro, non toscano, che mi propone il caso di una sua allieva under 10, tra le migliori in Italia, che, testa di serie al recente Lemon Bowl, dopo un esordio scoppiettante e convincente nel primo turno, è uscita di scena prematuramente, crollata senza grosse reazioni in campo.
In particolare, mi fa notare il Maestro, dopo non essere riuscita a sfruttare 3 palle per il 4 a 2 in suo favore nel primo set, ha commesso tanti doppi falli e mandato tanti diritti in rete. Altro particolare descritto, le tante palle corte, spesso sbagliate e comunque giocate in momenti inopportuni. Il tutto si è concluso con una sconfitta, tanti rimpianti e altrettanti dubbi.

Non è una novità che atleti così giovani si ritrovino a cambiare così rapidamente il proprio atteggiamento in partita (e non capita solo ai giovani…). Tennisti alle prime esperienze agonistiche vivono tanti entusiasmi e sentono tanta voglia di allenarsi, di giocare partite, soprattutto quando tutto gira per il verso giusto. Quando tutto va bene si gioca sempre con il desiderio di mostrare, a sè stessi in primis, le proprie capacità, e di godere della soddisfazione di vedere realizzati i propri desideri. È altrettanto normale, però, che tali atleti possano poi, a un certo punto dell'incontro, sentire il peso della responsabilità legato alle aspettative proprie, dei genitori, del tecnico e di chissà chi altro, e manifestare dei cambiamenti di rendimento. Una situazione come quella di un torneo importante come il Lemon Bowl può togliere il respiro, può diventare opprimente.
In queste situazioni, un giovane alle prime esperienze, soprattutto se dotato di un carattere riflessivo, educato, può cadere nella trappola dei pensieri che lui stesso si crea: "Questo punto è importante perchè mi può portare a vincere il game così fondamentale per la realizzazione del disegno (o addirittura del sogno). Probabilmente non mi ricapiterà più..." "Se perdo questo punto, cosa penseranno di me i miei genitori, il Maestro?" Sono, comunque, pensieri che affollano la mente di ognuno di noi, con la differenza che il giocatore esperto sa respingerli, analizzarli, soppesarli; l'inesperto non sempre se ne libera. Fanno sicuramente eccezione gli sportivi, anche giovani, più intraprendenti, di indole più spregiudicata, che, incuranti di queste problematiche sono interessati a prevalere anzichè preoccuparsi di poter fallire.
Per tornare al caso descritto, quindi, la circostanza di 3 tentativi falliti per andare sul 4 a 2 e il ritrovarsi invece sul 3 a 3 (in questo caso, l'atleta purtroppo, non valuta che nulla è compromesso) può portare l'inesperto a perdere la serenità utile per continuare a lottare e per ragionare, così come ha fatto per arrivare sul 3 a 2… E allora il giovane tennista inizia ad inanellare ripetuti tentativi per uscire dal palleggio, che non riesce più a reggere mentalmente (questo spiega i reiterati tentativi di palla corta); oppure perde sensibilità e sicurezza nelle gambe, utili per colpire in modo appropriato la palla e spingere i colpi (nel caso nostro, i diritti in rete, nella speranza di effettuare vincenti, osando più del dovuto); oppure rischia oltremodo sul servizio commettendo tanti doppi falli.
In simili situazioni, se si tratta di un incontro a squadre, l'intervento del coach deve mirare al recupero della serenità e della fiducia nei propri mezzi, in maniera tale da ritrovare la lucidità che consenta di tornare a pensare alla tattica e alla presenza attiva in campo. In allenamento, invece, come già più volte accennato, è consigliabile creare situazioni che stimolino la capacità di gestire l'ansia, rendendo l'atleta responsabile a tal punto da leggere tutti i punti con la stessa attenzione (vedi articoli precedenti). Rimane, però innegabile che il momento più opportuno per imparare a gestirsi è la partita. In tal senso diventa importante l'incontro amichevole, meglio se con giocatori con cui non c'è confidenza. Molto più spesso, il giovane atleta sviluppa questo tipo di maturità partecipando al maggior numero di tornei possibile. Impara ad entrare nel clima agonistico già prima di entrare in campo. (Vi consiglio di rileggere gli articoli relativi all'Arousal e alla gestione dell'ansia). È sempre consigliabile recarsi al circolo che ospita il torneo e cambiarsi diversi minuti prima dell'incontro, per "respirare" l'aria del circolo e sentirsi sempre meno estraneo e sempre più in un ambito conosciuto, se non familiare. È innegabile che ci sono ragazzi predisposti, che raggiungono prima i risultati, ed altri che hanno bisogno di più tempo. Il segreto è "accompagnarli" nel loro crescere e nel processo di maturazione. In questo senso, mi permetto di consigliare ai vari tecnici un particolare che viene spesso sottovalutato ma al quale personalmente dò tanta importanza: al termine dell'incontro, magari dopo 10-15 minuti di riposo per recuperare energie e lucidità mentale, affrontate con l'allievo l'analisi della partita! L'analisi immediata dell'incontro dal punto di vista tattico, tecnico e soprattutto mentale (con le immagini ancora vive nella mente) consente di capire cosa è successo e come migliorarsi nell'affrontare in futuro situazioni analoghe a quelle che si sono verificate in partita. In questo senso l'allievo impara a riconoscere momenti topici e impara ad affrontarli: fa esperienza attiva. Per il resto, è solo questione di aspettare, consigliare, aiutare e far crescere l'uomo prima dell'atleta!

Giuseppe Giordano

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